Per i partiti i referendum sono un fastidio – Nadia Urbinati

15 Marzo 2016 by

Intervista a Nadia Urbinati da Il Fatto Quotidiano del 15/03/2016

NADIA URBINATI – “ORMAI VIVONO SOLO NELLE ISTITUZIONI: GLI SERVONO ELETTORI, NON CITTADINI. E I MEDIA SI ADEGUANO”
Siamo di fronte alla stessa situazione del referendum costituzionale del 2006, ma con una differenza. Dieci anni fa si poteva contare ancora sui partiti, sulle loro campagne di sensibilizzazione e informazione”. Oggi per Nadia Urbinati, docente di Teoria politica alla Columbia University di New York, la situazione è ben diversa. “L’opposizione parlamentare non è forte e definibile, i partiti sono sempre più istituzionalizzati e non c’è un’azione politica chiara”.

Professoressa Urbinati, con quali conseguenze?
La cittadinanza referendaria sarà costretta a una solitudine organizzativa, con i partiti che non sono più attivi nella società ma abitanti esclusivi delle istituzioni. A questo punto, da che parte si schiererà chi contribuisce a determinare l’opinione pubblica? La politica dimentica la comunità che deve gestire da sola le sue proposte E questo la rende debole.

Da che parte?
Senza il sostegno dei partiti è difficile che i cittadini, da soli, riescano ad avere la stessa risonanza mediatica e la stessa attenzione che invece c’è stata per quei referendum nei quali i partiti erano attivi. È un problema molto serio.

Vale anche per il referendum sulle trivelle?
Quello del 17 aprile sarà un’importante prova generale. Il problema, però, è lo stesso: la politica è lontana dalle persone, i partiti sono indifferenti. Se vivono solo delle e nelle istituzioni, si crea un cortocircuito che mette in discussione il processo rappresentativo, la democrazia rappresentativa che non è solo dentro le istituzioni: il sistema funziona al suo meglio quando i rappresentanti politici tengono una gamba fuori dai palazzi e una gamba dentro. Se si appoggiano solo su quella che sta dentro, non funziona in senso compiutamente democratico.

Cosa pensa del tradimento dei verdetti dei referendum già affrontati, come quello sull’acqua pubblica?
Se chi rappresenta non ha più bisogno del rapporto costante con i cittadini, perché la sua funzione nel palazzo è comunque garantita dall’elezione, allora è più facile dimenticarsi del volere espresso dai cittadini.

Come si è arrivati a questo?
I partiti sono agenzie di collocamento (via elettorale o non) e non più associazioni che elaborano visioni con le quali competono. E dato che non devono più essere partiti di militanti, basta che siano partiti di elettori (come recita per esempio lo statuto del Pd). Si limitano a legittimare il proprio operato sulla base del conteggio dei voti, il contenuto delle loro proposte politiche diventa secondario. Il plebiscito della leadership non è la stessa cosa della rappresentanza politica.

Come reagiscono, allora, i cittadini?
Si trovano soli. E da soli si costituiscono in comitati e associazioni d’iniziativa libera. Democrazia diretta, più che rappresentata. C’è una cittadinanza referendaria realizzata malgrado la “politica politicata”. Ma non siamo ingenui. Cittadini soli comporta anche cittadini deboli.

Sarà data loro la stessa attenzione di quella concessa ai partiti?
I cittadini devono essere consapevoli di aver davanti un lavoro duro e, per giunta, di non godere molto probabilmente delle stesse opportunità di voce e di ascolto. I media trattano quasi solo e sempre con gli eletti e i collocati dentro le istituzioni. Ai cittadini e ai loro comitati fai-da-te non credo daranno la stessa attenzione. Sono materia e voce per sondaggi al massimo, ma come attori politici sono pressoché assenti dai media. E questo scenario sarà ingigantito nella campagna per il referendum costituzionale: il popolo sovrano avrà molta meno visibilità dei suoi rappresentanti e dei politici che parlano in suo nome.

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