Tsipras: Accordo possibile ma non taglio pensioni

9 Giugno 2015 by

Intervista ad Alexix Tsipras sul Corriere della Sera del 9 giugno 2015
Tsipras, ecco le nostre condizioni «Accordo possibile ma non taglio pensioni e sussidi»

Premier greco da appena quattro mesi, eletto all’insegna del rifiuto dell’austerity, Alexis Tsipras è il campione della nuova sinistra europea che contesta liberismo, privatizzazioni, impoverimento della classe media, riduzione dello Stato sociale e dei diritti sindacali. Per lui sono tutte conseguenze delle ricette economiche sin qui seguite per ordine delle autorità comunitarie e che, per salvare la Grecia e l’Europa vanno ribaltate. Come? Lo spiega in questa intervista esclusiva al «Corriere della Sera».
Presidente Tsipras, mercoledì incontrerà Merkel e il presidente francese Hollande. La Cancelliera ha detto che «tutti stanno lavorando intensamente, ma non resta molto tempo». Eppure da settimane il team greco sfoggia ottimismo, la controparte no. Che cosa intende proporre di diverso per arrivare a un compromesso?
«Credo che domani la discussione entrerà nel merito dei progressi raggiunti. Definiremo dei tempi chiari per l’accordo. Noi abbiamo presentato un testo completo che include il terreno comune individuato delle trattative tecniche al Bruxelles Group. Lavoreremo per annullare le distanze sulle finanze statali, portando delle proposte alternative lì dove vi sono delle richieste illogiche e non accettabili. Tutto ciò, tuttavia, avrà senso se anche da parte delle istituzioni vi sarà la volontà di trovare soluzioni serie sulla sostenibilità del debito. Vogliamo porre definitivamente termine a questa orrenda discussione sul Grexit che rappresenta da anni un freno alla stabilità economica in Europa. Non che il problema sia riciclato ogni sei mesi».
Quali sono le misure che i creditori hanno già accettato e quelle che state ancora discutendo?
«Penso che siamo molto vicini ad un accordo sull’avanzo primario per i prossimi anni. Basta che ci sia un atteggiamento positivo sulle proposte alternative al taglio delle pensioni o all’imposizione di misure recessive. Il nostro obiettivo è che le misure contengano l’elemento della redistribuzione e della giustizia sociale. La cosa più importante è trovare un accordo, non solo su come chiudere il programma di assistenza al debito greco, ma anche sull’alba del nuovo giorno, cioè su come la Grecia tornerà il prima possibile sui mercati con una economia competitiva. Un ruolo centrale ha la soluzione del problema finanziario a breve termine. Ci sono soluzioni tecniche che possono evitare un terzo programma di aiuti e contemporaneamente fornire una prospettiva sostenibile a medio termine per quel che riguarda la restituzione del debito, così da riportare la Grecia nuovamente sui mercati più velocemente di quanto possiate immaginare».
Perché alle tre istituzioni, Fmi, Commissione europea e Banca centrale europea, non piacciono le vostre proposte?
«Non credo che non piacciano. Il problema è che alcuni sono restii a riconoscere che le riforme greche del quinquennio passato sono fallite, perché questo comporterebbe un costo. L’Europa e le Istituzioni devono riconoscere che l’austerità è fallita. Non è una decisione facile, dobbiamo pensare però al costo economico di una crisi perpetua o, peggio ancora, al costo storico di un fallimento».
Cosa, invece, non vi è piaciuto della proposta delle istituzioni?
«Quella proposta è stata infelice ma in una trattativa succede. Ci dispiace il fatto che non riflettesse affatto gli accordi già raggiunti nei negoziati nel Bruxelles Group. Non possiamo proseguire un programma che è chiaramente fallito. Non è possibile che ci si chieda di applicare misure che nessuno ha applicato in Europa, o che si esiga dalla Grecia di muoversi come se non ci fossero state quattro mesi fa, elezioni che hanno cambiato il governo. È una questione di principio, ma anche di sostanza. Dopo 5 anni di austerità è inconcepibile che ci venga richiesto di abolire le pensioni più basse e i sussidi che riguardano i cittadini più poveri. O di aumentare del 10% il costo dell’energia elettrica per le famiglie, in un Paese nel quale migliaia di persone non hanno accesso all’elettricità. Di abolire il sussidio per il riscaldamento mentre si muore dal freddo. Sono delle proposte che non possiamo accettare non solo perché si pongono al di fuori del mandato popolare che abbiamo ricevuto, ma perché se le accettassimo assesteremmo un colpo durissimo all’Europa della democrazia e della solidarietà sociale alla quale, alcuni di noi, continuano a credere con passione».
L’austerità è stata applicata in molti Paesi europei. Perché la Grecia deve essere differente?
«La differenza è che in Grecia l’austerità è stata attuata con una brutalità mai vista e ha portato a conseguenza economiche e sociali rovinose. Questo appare chiaramente anche come si è ridisegnato il Paese negli ultimi anni. Disoccupazione dal 12 al 27% in tre anni, Pil sceso del 25%, sulle classi medie e su quelle più povere della società è gravato un peso fiscale enorme, con la crisi umanitaria i senza tetto e coloro che vivono ai margini della società sono aumentati ogni giorno. Basta guardare i programmi di Irlanda e Portogallo per capire che si tratta di paragoni “infelici”. Nessuno ha sofferto quanto la Grecia».
Tutta la rinegoziazione del debito greco è stata caratterizzata dallo scontro tra i sostenitori dell’austerity e chi crede negli stimoli alla crescita. Solo una questione di teoria economica o sfida politica?
«Le teorie economiche vengono costruite per sostenere specifici interessi sociali. Ed è per questo che non esiste una scuola economica unica, ma molte. Basta confrontare gli indicatori di disuguaglianza sociale della Grecia e dell’Europa prima e dopo la grande crisi del 2008. Le ricette attuate miravano alla riduzione del costo del lavoro, ma anche alla deregolamentazione del mercato del lavoro con l’obiettivo di creare incentivi per maggiori profitti, per aumentare gli investimenti. La grande promessa era che lo sviluppo si sarebbe allargato a tutta la società. Purtroppo non ha funzionato. È una ricetta che fallisce costantemente e ovunque nel corso degli ultimi 30 anni».
In caso di Grexit l’Europa scricchiolerebbe sia dal punto di vista economico che geopolitico. Per voi è un vantaggio negoziale. Ma è giusto che i contribuenti europei paghino un fallimento economico?
«Non vogliamo mettere paura o ricattare. Sappiamo che anche altri affrontano difficoltà e contemporaneamente mostrano solidarietà. D’altra parte la Grecia resta uno Stato sovrano che ha l’obbligo di fronte ai suoi cittadini e alla comunità internazionale di discutere con tutti la stabilità economica e geopolitica. Voglio essere chiaro. La Grecia riceve prestiti. Nessuno le regala dei soldi. Secondo il Parlamento tedesco, la Germania ha guadagnato 360 milioni di euro dai prestiti che ci ha concesso».
Il fallimento della Grecia sarebbe anche il fallimento dell’euro?
«Penso sia evidente. Sarebbe l’inizio della fine dell’eurozona. Se la leadership politica europea non può gestire un problema come quello della Grecia che rappresenta il 2% della sua economia, quale sarà la reazione del mercati per Paesi che affrontano problemi molto più grandi, come la Spagna o l’Italia che ha un debito pubblico di 2 mila miliardi? Se la Grecia fallisce i mercati andranno subito a cercare il prossimo. Se dovesse fallire la trattativa, il costo per i contribuenti europei sarà enorme. È per questo che sono profondamente convinto che ciò non convenga a nessuno. Lo dico per far comprendere che il mio governo non tratta egoisticamente. Al contrario. Se la Grecia otterrà qualcosa di buono da questa trattativa – ad esempio minore austerità – la strada si aprirà per tutti. Per questo, specialmente i Paesi del Sud, dovrebbero appoggiare la posizione greca nel loro proprio interesse».
Per Matteo Renzi è impensabile che gli italiani paghino le baby pensioni ai greci.
«Parlerò con Matteo e gli spiegherò che su questo punto ha sbagliato. Sulle baby-pensioni ci siamo impegnati ad abolirle. Tuttavia, i paragoni sono fuori luogo. La Grecia in 5 anni ha ridotto le pensioni fino al 44%, ridotto gli stipendi nel settore privato fino al 32%, distrutto il suo mercato del lavoro, demolito lo Stato sociale, salassato fiscalmente dipendenti e classe media, raggiunto 1 milione e mezzo di disoccupati su una popolazione attiva di 6 milioni».
Come esce la Grecia dalla crisi?
«Il problema centrale è che l’intero peso della crisi è ricaduto sui poveri e sulla classe media. Quello che ci saremmo aspettati dai nostri partner era la possibilità di sfruttare il fatto che in Grecia c’è finalmente un governo pronto a scontrarsi che l’oligarchia economica e che ci aiutassero a combattere l’evasione fiscale, il contrabbando e il lavoro nero. Siamo gli unici a poter fare queste riforme. Solo così l’Europa potrà rilegittimarsi agli occhi dei cittadini europei, ma anche dei greci. È la grande sfida dell’Europa e della Grecia».
Se alla fine l’accordo non arrivasse, tornerebbe alle elezioni?
«Non prevedo e non voglio elezioni. Abbiamo ricevuto l’investitura popolare appena 4 mesi fa e i sondaggi mostrano che abbiamo moltiplicato la nostra influenza. Nell’arco dei quattro anni previsti, porteremo a termine il nostro lavoro. Non tradiremo il popolo greco».

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