Nuovi criteri di accesso case ERP discriminanti

16 Maggio 2015 by

PRC EMILIA-ROMAGNA: NO AI NUOVI CRITERI DI ANZIANITÁ RESIDENZIALE PER ACCEDERE ALLE CASE POPOLARI. IL PD PRENDE GLI APPLAUSI DELLA LEGA NORD PER UN PROVVEDIMENTO DEMAGOGICO E DISCRIMINANTE
In Emilia Romagna sui nuovi criteri di accesso alle case popolari, che prevedono l’anzianità residenziale di tre anni come soglia di accesso, il Pd si prende gli applausi dalla Lega Nord.

In Regione il Pd modifica i criteri di assegnazione delle case popolari in Emilia Romagna introducendo la residenza anagrafica da almeno tre anni per poter presentare domanda di accesso agli alloggi di edilizia pubblica. Con questo provvedimento la discriminazione e la demagogia diventano legge, e il Pd riesce a raccogliere persino gli applausi della Lega Nord.
Ad un contesto caratterizzato da carenza di case popolari e da una crisi economica che ogni giorno colpisce migliaia di famiglie vittime sempre più di sfratti per morosità incolpevole il Pd in Regione risponde limitando l’accesso alle liste d’attesa per un alloggio pubblico e introducendo una pericolosa guerra tra poveri. Una risposta che cancella la tradizione di solidarietà sociale che ha sempre caratterizzato questa Regione, che oggi compie un pericoloso passo indietro scegliendo di allinearsi alle Regioni con politiche sociale più arretrate. Siamo di fronte ad una svolta politica e culturale, che segna anche in Emilia Romagna la definitiva virata a destra del Pd.
Nel merito del provvedimento assunto ci troviamo di fronte ad un grave snaturamento della funzione dell’edilizia pubblica, che dovrebbe essere quella di garantire il diritto alla casa e prevenire il prodursi di emergenze abitative e che oggi, invece, diventa strumento di esclusione sociale. Quello approvato dal Pd è un provvedimento non solo demagogico e discriminatorio, ma anche sbagliato perché non offre soluzioni al problema casa ma anzi aggrava il disagio economico e sociale delle famiglie. La conseguenza pratica del criterio dell’anzianità residenziale per accedere alle case popolari è, nei fatti, uno sbarramento che determina un ulteriore allungamento dei tempi di attesa per un alloggio, aggravando ancora di più la funzione di sostegno sociale a carico dei Comuni.
Secondo la Vicepresidente della Regione, Elisabetta Gualmini, non è possibile dare la casa a tutti, peccato che siano migliaia gli alloggi invenduti, per lo più lasciati sfitti in nome della speculazione edilizia o di interessi poco chiari. Alla Vicepresidente diciamo che anziché fare politiche che inseguono il razzismo leghista dovrebbe favorire la ripresa della costruzione di case popolari, che resta l’unica strada per sconfiggere l’emergenza abitativa.

Stefano Lugli
Segretario regionale PRC Emilia-Romagna

Dichiarazione del consigliere regionale Piergiovanni Alleva
CASE POPOLARI – CON QUESTO VOTO IL PD CERTIFICA DI ESSERE PRONTO A INSEGUIRE LA DESTRA NELLE SUE PIU’ BIECHE PULSIONI

Sono contrario a imporre un periodo minimo di residenza per la concessione delle case popolari come deciso ieri dal Pd su sollecitazione della Lega.
Dal punto di vista giuridico, quanto approvato ieri in commissione è contradditorio e cioè un requisito come quello dell’anzianità di residenza, se si vuol ritenere che i proponenti fossero in buona fede, sembra alludere alla necessità che colui che chiede un alloggio pubblico abbia maturato in via definitiva la decisione di vivere nel comune e il tempo trascorso dall’acquisto della residenza funzionerebbe così da indicatore.
In realtà, già nella concessione della residenza è implicito un giudizio sul fatto che quella persona ha nel comune una dimora stabile e non transitoria tant’ è vero che vengono effettuate visite da parte dei vigili urbani e controlli vari. Quel che c’è sotto al tipo di limite approvato ieri è qualcosa di ben diverso che, tirando il filo, ci porta dritti alla concezione identitaria e xenofoba tipica di una certa destra, a cominciare dalla Lega. Chiedere un termine pluriennale di già ottenuta residenza significa chiaramente dire che prima ci sono gli altri per così dire, i nativi, e che non c’è uguaglianza tra coloro che pure vivono in uno stesso ambito socio – economico e territoriale solo perché alcuni “c’erano prima”.
E poiché spesso accade che quelli di “prima” e quelli di “dopo” appartengano ad etnie diverse, quell’idea discriminatoria acquista anche un’ inquietante valenza razzista. Il fatto impressionante però non è che la destra si muova in questo ordine di idee discriminatorio che purtroppo le appartiene, ma che esso venga condiviso anche dal Partito Democratico il quale certamente non può non rendersi conto della contraddizione iniziale insita nel non considerare sufficientemente residente un soggetto che è già stato qualificato residente. Tutt’altra cosa è che le condizioni di bisogno alle quali va veramente rapportata la distribuzione delle risorse ( e non ad una astratta anzianità di residenza) siano in essere da più o meno tempo perché non si può negare che chi attende la casa da tre anni abbia una precedenza rispetto a chi l’ha appena chiesta, ma questo appunto è qualcosa di diverso, è la decorrenza dello stato di bisogno un fattore che proprio nulla ha da spartire con l’essere residente da un certo numero di anni. Quando il provvedimento arriverà all’aula esprimerò il mio no netto e motivato sperando che nel frattempo il Pd abbia fatto mente locale e smesso di rincorrere la demagogia razzista della destra.

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