Acerbo (Prc): «Tante assemblee per consegnarsi a D’Alema e Bersani? Noi no»

10 Novembre 2017 by

Intervista a Maurizio Acerbo tratta da Il Manifesto del 10 novembre 2017.

di Daniela Preziosi

Sinistre/Intervista. Il segretario comunista: abbiamo aderito al percorso del Brancaccio perché in assemblea si dava regole e contenuti. Non si doveva discutere il documento della lista unitaria prima con gli altri che con chi aderisce. Gli ex Pd ci trattano come l’intendenza. Così si allontana anche chi è stato all’opposizione quando loro sostenevano Monti.

«Non c’era bisogno di chiamare migliaia di persone in centinaia di assemblee per fare la lista di Bersani e D’Alema». Maurizio Acerbo, segretario Prc, è al forum di Marsiglia promosso dalla Sinistra europea con le sinistre latinoamericane. Da lì boccia il documento-base concordato Fra Mdp, Sinistra italiana, Possibile e civici del Brancaccio. Il guaio è che Rifondazione è una componente delle assemblee del Brancaccio. Non va bene il metodo, spiega: «Le forze del vecchio centrosinistra concordano un documento poi indicano un leader, Grasso. E invece le persone che in questi mesi hanno partecipato alle assemblee sono l’intendenza, chiamata ad accettare? Avevamo aderito al Brancaccio perché era un percorso all’interno del quale si definivano programma e regole sulla base degli orientamenti proposti da Tomaso Montanari. Il documento bisognava discuterlo anche con chi al Brancaccio partecipa, prima che con chi no».

Non avevate dato mandato per il tavolo che si riuniva nella sede di Mdp per la stesura del documento comune?

Sapevamo che erano stati chiesti incontri a Tomaso e Anna, niente di male. Ma il luogo decisionale è l’assemblea. C’è un’altra cosa: quelli che hanno perso la battaglia nel Pd dopo aver diretto per 25 anni il centrosinistra hanno un progetto e aggregano forze. Ma il Brancaccio era una cosa diversa: creare le condizioni dell’unità più larga possibile con un metodo diverso e un programma di netta discontinuità con il passato.

L’assemblea è sovrana. E se nell’assemblea del 18 novembre, dove approvarete o no il testo, finirete in minoranza?

Sia chiaro: non siamo contrari a un processo unitario, ma per una forza alternativa al Pd. Prima e dopo le elezioni. Se no qual era la differenza con le posizioni di Giuliano Pisapia? Se ora il Brancaccio diventa un’altra cosa ne prenderemo atto. Ma ho partecipato a una marea di iniziative, c’è una grande unità su una piattaforma alternativa.

Il testo non lo è?

Non c’è neanche scritto che è finita la stagione del centrosinistra.

Segretario, lei sa bene che loro dicono «mai con il Pd».

Ma l’hanno scritto? No, e su tutti i giornali discutono di come rifare il centrosinistra.

E comunque Falcone e Montanari sostengono di aver vinto.

Non voglio polemizzare ma a me non sembra. E non credo di aver letto il documento sbagliato: me l’hanno mandato loro. Ora rischiano di spegnere l’entusiasmo con cui molti si erano attivati nelle assemblee.

Nel Prc siete tutti d’accordo?

Credo di sì, in direzione abbiamo votato a larghissima maggioranza e gli astenuti e i contrari mi criticavano da sinistra. Ripeto: siamo per una lista unitaria, ma su un programma radicale e credibile. Sui punti che abbiamo condiviso con Tomaso e Anna.

Ma per una convergenza fra diversi una mediazione va messa in conto.

Ma qui si fa proprio il punto di vista degli altri. Non drammatizzo. All’assemblea del 18 ne discuteremo. Io so le cose dette e scritte da Tomaso in questi mesi, andiamo avanti su quelle. Se consegniamo il Brancaccio a Bersani e D’Alema sarà la fine di una speranza per molti. L’obiettivo enunciato al Brancaccio era quello di rimotivare al voto le persone di sinistra che si astengono o si rivolgono ai 5 stelle. Si perderanno anche i voti di quelli che in questi anni hanno resistito all’opposizione mentre Bersani e D’Alema sostenevano Monti e le riforme neoliberiste.

Consegnarsi a Bersani e D’Alema: non esagera?

La sensazione è quella. Mdp costruisce un progetto, Si e Possibile sono i satelliti e alla fine arriva il Brancaccio.

Non avete paura dell’isolamento?

Isolati lo siamo da un pezzo. Anche Bersani dovrebbe interrogarsi dei suoi scarsi consensi. In Italia la sinistra non esiste nonostante una crisi sociale enorme. C’è un partito, M5S, che incarna la protesta popolare anche di tanti elettori di sinistra. Si può rientrare in parlamento, o restarci. Ma se non si restituisce credibilità alla sinistra, se ogni tanto non si è fedeli a quello che si dice, si farà poca strada. Nel documento non c’è scritto che bisogna abolire la riforma Fornero.

C’è un motivo, secondo lei?

Sì. Mdp limita l’analisi agli anni di Renzi e non fa fino in fondo i conti con i venticinque anni che hanno portato a Renzi e di cui loro sono stati protagonisti. Non possiamo fare la lista di quelli del governo Monti contro Renzi. Non c’è nemmeno la cancellazione del pareggio di bilancio dalla Costituzione. Ma di cosa abbiamo parlato in decine di assemblee?

Lei il 7 novembre era a Mosca a festeggiare la Rivoluzione con i partiti comunisti di tutto il mondo. È quella la compagnia che preferisce?

A Mosca non c’erano solo partiti comunisti. La nostra compagnia è plurale: Podemos, Mélenchon, Syriza. È questo tipo di sinistra che vogliamo fare. Siamo stati così aperti che non abbiamo posto un veto su Mdp che in Europa siede con i socialdemocratici. In nome dell’emergenza di costruire una sinistra italiana siamo aperti massimo di unità possibile. Ma da questo alla lista di Bersani e D’Alema ce ne corre.

Correrete soli, nel caso?

Continueremo il percorso delle assemblee, ho fiducia che lì la maggior parte sia d’accordo con noi. Lista di sinistra, programma di netta rottura a cui diano il loro contributo anche quelli che hanno ricoperto ruoli di governo: non candidandosi. Come alcuni avevano annunciato durante il referendum.

Parla del vostro ex segretario Ferrero, ex ministro di Prodi?

Ferrero è totalmente d’accordo sul fatto che nessun ex ministro sia candidato. La lista deve parlare del futuro non essere inchiodata agli errori del passato. D’Alema aveva detto che dopo il referendum sarebbe tornato a occuparsi di politica estera.

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