Isde: «Ridurre il consumo di carne fa bene e conviene a tutti»
di Eva Rigonat*, pubblicato sulla Gazzetta di Modena del 26 luglio 2025
La coerenza necessita di volontà, ma anche di strumenti. Chi ama gli animali, o semplicemente li rispetta, può essere coerente con le proprie azioni e con i propri sentimenti a patto che sappia come farlo. Per gli animali d’affezione, molti sono gli strumenti utili, disponibili e facilmente accessibili come gli ambulatori veterinari, professionisti del settore, siti web, riviste, libri, ecc. Attraverso questi strumenti, chiunque può documentarsi in modo soddisfacente per incidere personalmente con le proprie azioni.
Ma quando parliamo di animali da reddito, allevati principalmente per il cibo che ci forniscono quale latte, uova, carne, e tutto ciò che li contiene, il tutto si riduce spesso alla firma di una qualche petizione. I cittadini in realtà avrebbero, tutti i giorni, almeno tre occasioni per agire: colazione pranzo e cena. Alcuni ragionamenti stanno alla base di questa affermazione.
La produzione è in aumento
Consumiamo troppi prodotti di origine animale e, in particolare, troppa carne. È universalmente riconosciuto che riducendone il consumo la nostra salute ne guadagnerebbe. Questa abitudine alimentare recente, dal dopoguerra ad oggi, ha la sua radice nel guadagno economico che questi alimenti producono lungo tutta la filiera.
Allevamento, trasporto, macellazione, lavorazione, distribuzione e vendita degli alimenti e attività economiche correlate come l’industria mangimistica, la chimica dei fitofarmaci e dei farmaci e la genetica, sono tutte attività economiche redditizie che negli ultimi decenni si sono espanse e continuano ad espandersi proporzionalmente al consumo. In sostanza, l’obiettivo è sempre quello di massimizzare il profitto che deriva dall’allevamento degli animali, estremizzando le condizioni nelle quali crescono (densità, nutrizione, cure veterinarie, luce, temperatura, umidità, ecc.) per garantire una vasta produzione di carne a basso costo, da immettere sul mercato rapidamente.
L’operazione è riuscita, la domanda è aumentata e sono aumentati così tanto gli animali allevati, da necessitare la creazione degli allevamenti intensivi. Questi sono stati per lungo tempo realtà nascoste dentro capannoni chiusi e inaccessibili. Oggi se ne sa per fortuna di più. Si sa che, al loro interno, gli animali vengono stipati in condizioni che nemmeno si avvicinano a quello che le nostre coscienze e la ricerca scientifica ritengono essere benessere. Il benessere previsto per legge è un benessere minimo, fortemente indirizzato alla conservazione, comunque, della tutela degli interessi economici.
Allevamenti, polveri sottili e qualità della vita
In provincia di Modena, la cui superficie totale, comprensiva di pianura, boschi, colline e montagne è di 2.689 chilometri quadri, sono presenti, secondo la Banca Dati Nazionale, tra bovini, ovi-caprini, suini, avicoli, equidi, conigli, complessivamente 986.167 animali, il che significa che, se li liberassimo tutti, per ogni chilometro quadro vedremmo presenti 367 animali.
Quello che si conosce meno è il potenziale di inquinamento di questi allevamenti. In Emilia-Romagna concorrono al 19% della produzione di polveri sottili. I cittadini modenesi per le polveri sottili vedono diminuite le loro aspettative di vita di 13 mesi. Di questi 13 mesi due e mezzo sono imputabili agli allevamenti e all’agricoltura collegata alla loro esistenza, in una realtà che vede il 70% delle terre coltivate destinate all’alimentazione animale. Ma gli allevamenti inquinano anche l’aria con produzione di gas climalteranti, tra cui metano e protossido di azoto, molto più pericolosi dell’anidride carbonica.
Attraverso feci e urina immettono nel terreno, nell’aria e nelle acque, quantità eccessive di azoto dando luogo a fenomeni di eutrofizzazione delle acque superficiali e morte della flora e fauna di fiumi e laghi. Inquinano le acque potabili e di irrigazione delle colture con nitrati, potenziali cancerogeni. Sono anche corresponsabili di un eccesso di utilizzo di antibiotici che per il 70% vengono espulsi dall’organismo dopo la somministrazione, con feci e urine.
In Italia undicimila morti per antimicrobici
Nell’ambiente la presenza degli antibiotici consente ai batteri di imparare a sviluppare delle resistenze grazie alle quali, entrando in contatto con un organismo vivente, lo infetteranno senza che i farmaci funzionino più. I morti per antimicrobico resistenza in Europa sono attualmente 33.000 l’anno di cui 11.000 in Italia, esseri umani per i quali non esistono più antibiotici utili.
Per brevità accenniamo solo ancora a zoonosi e spillover. Le zoonosi sono malattie che si trasmettono dall’animale all’uomo come la rabbia, la malattia del graffio da gatto, la salmonellosi, la toxoplasmosi, per citare le più conosciute, atteso che il 70% delle malattie emergenti nel mondo è dovuto a zoonosi. La trasmissione avviene sempre dall’animale all’uomo. Lo spillover è invece la capacità di una malattia animale di trasmettersi da animale a uomo, in un primo momento, e poi di specializzarsi e trasmettersi da uomo a uomo creando pandemie.
Pandemie e scelte consapevoli
Il Covid è stato un esempio e un altro è quello della ‘Spagnola’, influenza trasmessa dagli avicoli, polli, e che nel 1918 fece cinquanta milioni di morti nel mondo. Oggi desta preoccupazioni nel mondo scientifico l’influenza aviaria. Le probabilità di zoonosi e spillover aumentano all’aumentare del numero di animali a stretto contatto con l’uomo e del tempo di contatto; più sono gli animali, più sono stipati in condizioni malsane e di fragilità, più aumenta il tempo della loro vicinanza all’uomo che li accudisce, più aumenta il rischio. Per finire, questi allevamenti non creano posti di lavoro, poche unità lavorative gestiscono migliaia di animali.
Colazione pranzo e cena dunque. La normativa europea ha catalogato gli allevamenti in base al loro potere inquinante. Le categorie della direttiva europea combaciano per buona parte con quelle delle condizioni di allevamento: gli allevamenti più inquinanti corrispondono, quasi sempre, a quelli con le peggiori condizioni di vita degli animali. Se come cittadini potessimo sapere, all’atto dell’acquisto, con un’etichetta chiara, immediatamente comprensibile, da che categoria inquinante di allevamento provengono i prodotti che acquistiamo, tre volte al giorno potremmo tutelare benessere animale, ambiente, salute dell’uomo e lavoro.
*medico veterinario, vicepresidente di ISDE Modena e componente del Comitato scientifico di Isde (Società internazionale dei medici per l’ambiente) e di RECA (Rete per l’Emergenza Climatica e Ambientale Emilia-Romagna)